Come sapere in quale bar si è ?

Non è dalla rastrelliera che si giudica un bevitore
Un bevitore lo vedi dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia.

(quasi citazione).


La rastrelliera. È la vetrina del barman, ed è da quella io giudico il luogo. O perlomeno la proprietà.
Avevo raccontato di come entrando in un bar (il vostro bar) proposto un sorriso e un buongiorno, o un è permesso ? come se salisse sul barcarizzo di una nave. In punta di piedi. Vi girerete in giro cercando qualche segnale, amo che vi indichi che siete nel posto giusto per voi. Ora distolto lo sguardo dalle gambe femminili e altre parti curvilinee, vi chiedo di osservare cosa ha a portata di mano il barman, e soprattutto cosa ha nel suo posto meno in vista.
Per capirsi alle sue spalle noterete un ordine cromatico ? tipo bottiglie in ordine di altezza ?

Stefano Carlucci le Bon Bock


Di solito l’ordine è per generi : bianchi vodKa, gin, agave, whisky, vermouth, amari, etc.

Più sono colorate meno di solito sono interessanti, ma non è esclusivo. Ora non mi soffermo sulle tipologie o sulle combinazioni lo rimando alle prossime note.

Prima di entrare nell’ ambito dei tecnicismi e delle scelte etiche e di età, vi prego di ricordarvi uno o due locali dove vi siete sentiti a casa e vi prego di inviarmi delle foto o delle segnalazioni a riguardo.


Io Intanto vi riporto quella che ho ricevuto da Paco Cianci un amico barman qui di seguito:
Una volta ho preparato un Mojito con il petto di pollo. Crudo. Pestato. Lui se l’è bevuto. Fate come volete, io vi servo. E’ il mio lavoro. Non perdo più tempo a giudicarvi. Vuoi un Negroni poco alcolico? Un cappuccino di soia schiumato? Una cazzo di birra piccola perchè sennò esageri? Fai quello che vuoi, io servo. Già da adolescente ero dietro al bar. Mi dicevo: “a trent’anni avrai abbastanza soldi per non lavorare più e girare il mondo in barca!” Ora ne ho quaranta. La barca non ce l’avrò mai. Forse me la sono bevuta, forse è affondata in un oceano di birra. Ma poi alla fine cos’è tutta questa smania di bere?
Uscire e bere. Bere a cena. Bere al concerto. Fare l’aperitivo. Nel mio gergo, o per lo meno quello che ci siamo creati noi, esiste il termine “sfondarsi”: Stasera mi devo sfondare, “Ao, ci sfondiamo?”, “Ammazza stavi proprio sfondato!” All’inzio lo fai per ridere. La birra fa schifo, la sigaretta fa tossire. Poi il bivio: resterò una persona normale . Oppure mi innamorerò di quel fantastico stato confusionale? “Penso che penso troppo, ecco perchè bevo”, diceva Janis Joplin. Ed infondo perchè si beve cosi tanto se non per non pensare? E’ come essere innamorati e non corrisposti, l’amore cosi non cesserà mai. E poi ci sono le scuse, le più belle: “ieri non ho bevuto oggi m’ammazzo”, sono triste, sono felice, oggi non sono niente, e quindi bevo bevo bevo di più. Però poi cresci e, dimenticata la barca, se proprio non sei uno stronzo, cominci a farti una vita. Ma come fai a bere così tanto quando alle sette devi portare il pupo a scuola? Come fai a salutare la maestra? Tutte quelle mamme e quei papà sorridenti mentre tu puzzi di alcool con gli occhi insanguinati? Facile, si cambiano gli orari. A bere si comincia il pomeriggio, così poi alle dieci tutti a nanna e la mattina freschi come una rosa (o quasi). Ho passato i momenti più belli della mia esistenza in compagnia di una Guinness. Seduto in bar, forse a Londra o forse a Milano, con un libro, una penna e una pinta. Quando da bambino presi il mio primo bicchiere io già lo sapevo, l’avevo capito subito. Da quel giorno nulla è più cambiato
”.

JUAN BUL trattato sui postumi della sbornia


Qui il barman fa una precisazione “bevo per bere, e vedo gente sfasciarsi”. Quindi la reserche di alcuni il prodotto cercato nella bevuta è l’ oblio, una sensazione di devastazione, di perdita di controllo. In questo senso puramente per il fine sfascio da alcoolico la rastrelliera è quasi irrilevante, semmai il libro da leggere è il “ Trattato sui postumi della sbornia” di Juan Bas. Di cui parleremo a breve.
Quello della sbronza è il limite, la soglia sempre presente del santo bevitore, non c’è un confine certo, l’attimo tra grande bevuta e sfascio, troppo spesso si va oltre, ben oltre, c’è la voglia di raggiungere meno effetti devastanti il giorno dopo, o di riuscire a continuare a bere senza cadere nel ridicolo. Ma è una pratica che riesce solo dopo tanti, alle volte troppi, errori.
Tornando alla rastrelliera il barman serio ha le sue preferenze (sempre che la proprietà lo permetta, sempre che non abbia scelto come clienti quelli che si sfasciano).
Faccio riferimento alla proprietà perché quando mi è stato chiesto di prendere decisione al riguardo del servizio di bar e mescita, ho scoperto che sono i proprietari quelli che dicono “il cliente non capisce un cazzo” . Ho risposto che il cliente capisce e torna solo se il servizio è valido. Ho perso il lavoro. Ho avuto la prova nel banco successivo dove ho proposto cose molto più interessanti ,in combinazioni alle volte anche stravaganti e avuto almeno il triplo degli incassi. Poi è cambiata la proprietà e siamo tornati al punto 1.

le ragazze di CO.SO


Se la proprietà non e sfasciona e mira al servizio, di qualità, e crede che il cliente sia qualcosa di più di un portafogli da svuotare allora la rastrelliera avrà oltre ai classici più o meno noti anche alcune cose stravaganti.
Pertanto come ho letto su un altro blog “odio i posti che spendono più in social marketing che in materia prima” e io aggiungo anche quelli in costi del personale. È ovvio che il costo di uno sfascio e il costo di una buona bevuta senza varcare il famoso limite del ridicolo a questo punto coincidono.
Le risorse che un buon barman dipendono quindi da il target a cui fa riferimento :
1 sfascioni
2 di moda
3 quantità
4 perditempo
Gli sfascioni li vedi subito, sono già ubriachi alla seconda pinta. Bevono compulsivamente e senza ordine mischiano e riprendono in ordine sparso, ci puoi mettere anche la verza al posto del giacchio se fa sballare va bene uguale. Molestano le cameriere o se ne innamorano, hanno amore per qualunque cosa li distrugga. Parlano tanto e con chiunque. Sino ad un età di 25 anni è tollerabile (studenti universitari, fidanzati della barista, neofiti) dopo no, il tuo bar diventa un Sert, un centro di recupero.
Il cliente modaiolo se quest’anno va (o l’anno scorso andava un coctail) io bevo solo … e giù di Mojito, kirroyale, sexonthebeach, la risposta del barman è di solito gentile, te lo fa se può, ma sono volatili come clienti. Oggi questo domani un’altra cosa, inseguirli è un delirio, e poi tocca stare alle mode più svariate – ma se ti piace il mojito vattelo a beve a Cuba, inoltre il buon barman le mode le genera non le subisce. Le crea adegua e inventa per i suoi clienti emozioni non sta li a fare il cane da caccia è lui la volpe.
I clienti di quantità, sono sporadici e veloci arrivano e spariscono in brevissimo tempo, lo stretto indispensabile, una festa sulla spiaggia, un chioschetto al mare, una birreria delle isole shetland. Bevono tutto quello che c’è, solo in quantità e qualità sufficiente a fornire una discreta variazione sul tema sfascio.
Il cliente perditempo, quello che viene perché non vuole stare a casa con la famiglia a vedere la televisione, perché magari non ce l’ha. (ne la famiglia ne il televisore) quello che assaggia da te, quello che viene a passare il tempo, e che se non c’è confusione magari fa anche compagnia. Quello alla fine è quello che la rastrelliera la guarda e di volta in volta ti permette di sperimentare di proporre cose nuove. È il confine labile tra scocciatura e amicizia.


In questa situazione la rastrelliera è quello che mi identifica invece l’approccio al cliente la misura di cosa sei e cosa bevi . Entrando in un locale quello che vedo mi deve invogliare a berlo. E non è da escludere una pinta di birra alla spina, se almeno hai quella. Se trovo il punt e mes (e non è impolverato) sarò propenso al Negroni, se vedo l’assenzio chiederò il Sazerac, se c’è Gin in bella mostra e una vasca di ostriche un oyster martini, magari per iniziare poi magari ha vicino un whisky particolare e ci torno per assaggiarlo. Quindi la vetrina la mostra è il modo con cui il barman mi convince a sedermi, la differenza tra un conto di 3 euro per un amaro con ghiaccio, o cinquanta di consumazioni , e il ritorno in compagnia.
Spero che questo spunto vi sia utile, ora quando guardate una rastrelliera cosa vedete ? .


Se volete scrivetemelo a danielereadymade@gmail.com

o sulla pagina fb il santo bevitore.

The Day After Corona virus.

La rivoluzione è Lenta.  Ma inesorabile . The Day After Corona virus.

Il primo quesito che viene in mente durante una  l’epidemia di Corona Virus è sopravvivrò ?

Segue quello naturale di sapere se sopravvivranno anche i nostri cari.

Quello che credo non sopravvivrà è il nostro modo di vivere almeno quello che conoscevamo fino a ieri.

incidente fra carrelli roma 2020

 Io sono  fortunato già lavoravo spesso da casa, sono abituato a non avere denaro e non fare affidamento su consuetudini, ho già vissuto una quarantena nel 1989, mentre ero militare ho contratto il tifo, quindi sto perpetrando uno schema che conosco.

L’unica cosa che mi scoccia è che se una rivoluzione arriva come presumo, questa purtroppo è lenta, e probabilmente io non ne vedrò  l’effetto. Ma ne percepisco l’odore, la presenza, anche se ancora persone si comportano in maniera simile a ieri l’altro.

L’ ancien regime del xx secolo sta morendo assieme e con il corona virus, e ai miei pochi,  ma preziosi lettori  preannuncio con tutta la gioia che mi piace la fine non prossima, ma ventura del  mondo come lo conosciamo oggi.  Spero che questo cambiamento arrivi nelle forme meno violente possibili, senza gente che si uccide nelle strade, ma con un impeto abbastanza forte da limitarsi ad un decennio massimo due. Ma i segnali ci sono tutti, semplici inequivocabili, il massimo che si può fare è girarsi dall’altro lato e aspettare che arrivi senza partecipare senza agire, ma è inevitabile. Doveva a suon  di logica arrivare. Con o senza guida le cose cambiano, e non sempre in meglio, anzi, ma ora che si manifestano  le crisi spero che la gente vedrà cosa non funziona in questo mondo Liquido, proprio ora che gli effetti del sistema (o meglio le sue carenze) ci appaiono  evidenti.  

documenti please

 Durante la quarantena e il necessario tempo di isolamento, si ha tempo per la riflessione.

Stiamo avendo un tempo necessario per  riordinare le idee e darci conforto.

Le annotazioni che seguono sono al solito, una serie enorme di informazioni sbagliate e casuali  ma seguono  la legge del caos , e le  tante altre e usuali divagazioni  che nulla hanno a che fare con l’attualità, ma che anzi con orgoglio  e fierezza definisco fuori dal tempo.

 Quello che appare oggi nello scenario della catastrofe del Corona virus, o covid-19  è lo scatenarsi del primo fenomeno nefasto  della globalizzazione finanziaria  la prima grande epidemia del XXI secolo è il primo mattone della rivoluzione che ci attende.   

La definisco una rivoluzione  globale  perché  sta manifestandosi nell’intero pianeta.  E se anche ci vogliamo girare da un’altra parte presto o tardi arriverà.  

Siamo alle soglie del XXI secolo davvero ?  Paul Kennedy  nel suo XXi sec. (1984) aveva previsto il passaggio di potere globale tra Stati uniti e Cina nel 2013 (non aveva  considerato la Russia come terzo attore ma negli anni 80 del secolo scorso sembrava destinata al collasso). Si è sbagliato di poco.

Ora avendo in questa quarantena un sacco di tempo libero, mi sono dedicato alla rilettura o lettura ex novo di alcuni libri, che ho avuto  per anni negli scaffali e che non avevo per pigrizia, letto o riletto a seconda dei casi.  Prevedere il futuro non è il mio forte e non ne sono in grado, ma sono fortemente  convinto che  l’umanità ripeta  in genere gli stessi errori e facciano le medesime cose perdurandole nel tempo,  esclusivamente cambiandogli nome, ripetano i medesimi schemi.

Vico li definiva Ricorsi storici, l’economia e la Storia lo dimostrano , Polibio addirittura li classifica in classi politiche. Ma non vi tedio con i com’è noto, piuttosto do’ per scontato il passaggio e passo all’argomento successivo.

Ogni secolo, e soprattutto il  XX (quello Breve) ha per  ogni invenzione tecnologica di rilievo, un cambio di prospettiva. Questi  comportano mutamenti  di i natura sociale e politica,  Jared Diamond lo spiega meglio di me in “Armi Acciaio e Malattie”, e soprattutto  nell’ultimo” Crisi”, che è un analisi sottile di come le varie Rivoluzioni (che sono anche culturali oltre che sociali) si siano nel tempo manifestate attraverso lunghi e profondi cambiamenti di abitudini e di certezze, e di come alcune  delle nostre strutture societarie si siano evolute.  Ora con l’avvento di Internet e della maggiore mobilità grazie al miglioramento dei trasporti, il mondo tutto  è connesso o perlomeno raggiungibile, e mentre il capitale, principalmente finanziario (cioè numerico) è libero di muoversi  le popolazioni cioè gli schiavi del xxi secolo no. 

Se gli Stati Nazionali   sono ridotti dalle multinazionali e dai poteri finanziari a semplici impiegati delle poste, oggi come oggi non hanno senso.  Sono come Il signorotto feudale che cedette il passo a Carlo V (Asburgo) che vedeva il suo impero dominare il mondo, almeno quello che gli interessava.

light my fire

 La peste, la rivoluzione Luterana, la fame, e il troppo oro, lo ridussero in briciole entro cinquant’anni  dalla sua morte.  La compagnia delle Indie e L’impero britannico si sono sgretolati dinnanzi alla  produzione dei tessuti in proprio degli Indiani.  Ora vi elenco quello che ho visto in questi giorni

1) Il ricomparire della chiesa e dei culti Mariani (la peste curate dall’Arcangelo Gabriele e la neve a piazza Vittorio)   se Dio ci può salvare allora ben venga.

2) la negazione e l’immunità di gregge delle razze superiori, sapete che io non credo alle Razze, se non quelle rostrate che vanno coi broccoli, ma se Johnson e L’UK avessero letto le leggi di Murphy forse avrebbero fatto meno casino e avrebbero evitato la Brexit.

3) che anche i banchieri tedeschi sono al pari degli altri degli idioti e che basta sparare un paio di negazioni, per diventare presidente della Bce, ma essendo stato messo li per Mediocrazia non sapere che fare.

4) ho desiderato tornare alla campagna di Mio nonno lui partigiano e contadino anche se quasi analfabeta avrebbe trovato la soluzione. Lui sapeva cosa fare, e cosa soprattutto non dire.

5) che le casalinge dopo anni di Masterchef al primo avviso di quarantena hanno fatto terminare nei supermercati il lievito di birra e le farine (tutte) un dolce e il pane non possono mancare.

6) che l’unica lavoro che vale la pena in italia di fare è il proprietario di terreni e case. O l’impiegato statale.

7) che la burocrazia tutta non è in grado nemmeno lontanamente di capire cosa succede, cos’è un servizio, quali sono i principi del diritto, come funziona una società civile e soprattutto non hanno idea di cosa sia il mondo che li circonda.

8) che la tv Italiana in mancanza di peggio  ha un enormità di prodotti della BBC e notturni davvero fighi e interessanti. La mia negazione della tv generalista mi ha fatto ricredere in questo periodo.

9) che la sanità era al collasso prima dell’epidemia e non credo si riprenderà

10) che la scuola del xxi secolo e molto simile a quella pre riforma Gentile. 

11) che quasi nessuno usa internet. Tutti lo smartphone.  E che dire riservatezza dei dati genera mondi difficili da perscrutare. Abissi di ignoranza globale che neanche le scimmie di 2001 Odissea nello spazio.

12) che siamo un popolo in finestra. A cantare, a stendere i panni sporchi, ma anche sempre a guardare.

13) che un enormità di persone  non ha idea di quello che dice, ma neanche di quello che fa.

14) che su 11 milioni di lavoratori censiti oltre il 75% è senza un minimo di garanzia o contratto. Sono cococo,  atipici, partite Iva, la qualsiasi cosa vi venga in mente. 

15) la Cina è davvero una civiltà superiore. Sconosciuta,  ma oggi mi sono davvero simpatici.

16) che Donald Trump è : o un genio del male tipo racconti Disney o un colossale coglione ma non mi capacito di come sia possibile, lo vedo solo Io ?.

a che santo votarci ?

 Invece ora la domanda che succederà ?

Qualcosa dovrà cambiare, se vogliamo sopravvivere, basta con questi privilegi feudali. Basta con gli acquisti inutili (ecco una delle cose buone della quarantena e che molte cose diventano, inutili  superflue).  La crisi c’è e ci sarà sarà lunga e terribile e colpirà duro e soprattutto te che sati leggendo.

Con i crolli di borsa l’accumulo di denaro soprattutto se  finanziario si riduce a polvere.  Le verdure, il cibo diventano più care.  Oggi che siamo a casa restauriamo rapporti e mobili, ci diamo alla cucina e alla sartoria, alle pulizie domestiche e ai rapporti umani. Ho chiamato e sono stato chiamato da persone che non vedevo da anni, solo per chiederti come stai ? Non male riabbiamo il tempo. Il tempo che ci era stato tolto, dalla velocità di questo xxi secolo ci viene restituito (ed è un bene).

 Uno dei libri che ho riletto Le “Lezioni Americane”  di Italo Calvino. Il quale con superba lungimiranza prevede bel dettaglio il lessico e i cambiamenti culturali che si manifesteranno nel divenire digitale. Esattezza, Molteplicità, Leggerezza, Rapidità Visibilità.

Scusate le ho scritte in ordine sparso. Ma in sostanza la quarantena mi restituisce un sapore di pre rivoluzione digitale, un mondo analogico fatto di letture di tempi radi, di spazio per attività lineari non molteplici.

Il crollo degli scambi commerciali tra paesi dovrebbe riproporre l’autarchia almeno per l’indispensabile, le certezze di sempre, il pane, il vino, l’olio. I rapporti resi così fluidi dalla modernità tornare ad una dimensione di vicinato di comunità, non digitale ma appunto  fisico.

Va rivisto il welfare, e spostato il baricentro delle decisioni politiche da localistico a globale. Se l’Africa muore, moriamo anche noi.  Ci siamo commossi per le bare di Brescia e non avete provato pietà per le fosse comuni in Iran ?  il virus non ha confine come non lo ha il denaro (sporco)  perché l’abbiamo noi ?

Cos’è italianità me lo sono chiesto, è il popolo che permette a Poggiolini di infettare di epatite un intera generazione. È un popolo che da al problema una distanza di non ritorno, “che mi frega mica ammazza i giovani “, che va a correre al parco ed organizza barbecue, mentre i medici muoiono.  Uno che vota Salvini e la Meloni al grido di prima gli Italiani e poi si fa arrestare per riduzione in schiavitù dei braccianti agricoli. E uno che acquista la casa dall’ente perché papà era ferroviere e poi l’affitta a 1000 euro al mese. E’ uno che non vuole fare la fila. E’ uno che guarda la Barbara D’urso.  Che santifica Craxi.

No, Non è solo questo per fortuna, sono i medici che muoiono per salvare altre vite. Sono Carlo Urbani, sono l’agente che finisce ammazzato per scovare un mafioso. Sono tante cose. Ma non di meno non contano nulla a livello globale, non hanno un contratto di lavoro se non un atipico (se a-tipico non è un contratto e non può essere la maggioranza)  sono laureati che vanno all’estero per non morire di fame. Sono intellettuali che fanno il Ghost writer, laureati che arrivano a insegnare a 45-50 anni, sono  dei geni che alle volte cambiano il corso della storia.  Ma in un mondo così non c’è spazio per loro come per tanti altri quelli che in un articolo meraviglioso  Flavio Troisi chiama https://lafattoriadeilibri.wordpress.com/2020/03/19/cari-disadattati-culturali/  quelli come noi, io e voi costretti in qualche modo a sopravvivere a questo Ancien Regime fatto di Mediocrati.

Bene il domani ci attende e non sarà ne radioso ne felice ma almeno sarà diverso

Vi voglio bene Daniele de Sanctis

L’italico Spaghetto E L’orrore Per La “Fusion” from ukizero.com

Non esiste ne è mai esistita una contrapposizione tra le parole “fusion” e classico, “tradizionale” o sperimentale in cucina. La cucina è sempre un prototipo, ogni volta è una sola, unica! Fusion è una parola che usano i razzisti, i limitati bifolchi, gli imbecilli… Questo vale tra i fornelli come tra le persone, pertanto il mio è un appunto sulla questione dei movimenti tra i popoli e lo “ius soli”, dove qui intendo la versione ‘a tavola’.

La cucina tradizionale o classica, è figlia della Fusion, quindi questo vale anche al contrario (uovo o gallina?). Che sia per semplice fame o per dimostrazione di potere, la cucina è un divenire continuo che ha alla base la reperibilità della materia edibile, e la sua conservazione. Ancor meglio la sua trasformazione. Ne nasce un “surplus”, ergo la necessità di scambio, con merci e tecnologie per ovviare alle mancanze alimentari o di genere. Da quando è stato possibile avere una produzione e una riserva alimentare grazie all’agricoltura, si è visto nascere il commercio e quindi il Mercato. La cucina è stata il luogo principe dello scambio e del mix di culture. Questo vale in un senso o nell’altro. È ben risaputo ad un cuoco internazionale che le materie prime italiane, quando di qualità, sono prodotti eccezionali, e la nostra forza culinaria è nella disponibilità di oltre 600 prodotti commestibili di base, e il fatto che siano anche molto buoni e combinabili fa della nostra una delle migliori cucine al mondo. Questo ci mette al di sopra rispetto al Mali dove le specie edibili disponibili scendono al di sotto dei 50 prodotti. È facile produrre un sugo coi pomodori San Marzano, ma provateci a coltivarli in Finlandia e ditemi se è buono altrettanto.
Quindi da sempre per ovviare alla dieta ripetitiva o carente di proteine, di cereali, di frutta… si è provveduto attraverso il commercio, la rapina o la schiavitùaumentare le risorse e gli scambi per poter procurare cibo migliore.

Così, per fare un esempio semplice vi parlerò degli spaghetti, il piatto tipico Italiano (? – ce ne siamo anche già occupati da tutti i punti di vista), ma anche della dieta fusion del Khan mongolo e della corte cinese nel XIII secolo.
Dal 1264 al 1368 Pechino è la capitale dell’Impero Mongolo della dinastia Yuan. È una città aperta, cosmopolita, ricca. A corte sono presenti dignitari arabi, iraniani, turchi, indiani… I Kahn trattano con commercianti europei, medici, uomini di lettere di ogni parte del mondo conosciuta. In questo contesto – di cui abbiamo notizia nei fantastici resoconti di Odorico da Pordenone e di Marco Polo – nel 1330 Hu Sihuimedico di corte, scrive un trattato medico di culinaria dal titolo moralistico: “I giusti principi del bere e del mangiare”. Non è un testo filosofico, è un ricettario, con l’indicazione delle droghe, le quantità, gli abbinamenti, l’uso, la conservazione del cibo e delle spezie, le modalità di cottura, e le prescrizioni per la cura della salute e del corpo. Il lavoro è stato dunque scritto nell’arco di dieci anni da un medico che ha praticato la cucina come medicina alla famiglia reale – leggendo i “Principi..” si ha un quadro vasto delle conoscenze e della cultura mongola-cinese.

Torniamo inoltre agli spaghetti.
In uno scavo archeologico lungo la via della seta in Karzakistan (o uno di quei paesi che stanno tra l’Afghanistan e la Cina) sono stati rinvenuti dei proto spaghetti datati circa 1.800 anni Avanti Cristo. Un qualche nomade o commerciante caucasico (georgiano o iraniano) si recava in Mongolia con una scorta di cibo fatta di farina di grano, sale e acqua: ammassati, mescolati ed essiccati. Da qui il nome di “pastasciutta” cioè impastato, o ammassati, da cui anche maccherone. Si era scoperto che per conservare la farina, sopratutto nei lunghi viaggi, era sufficiente darle una forma allungata in pasta, e poi farla rinvenire nell’acqua calda, cosa che andava di pari passo col pane azimo. Dal Caucaso la via attraverso gli arabi era verso Occidente ed era infatti occupata dagli Arabi che nel VI e VIII secolo d.C. erano i padroni della Sicilia, e qui ad Itriya (nei pressi di Palermo) nacque il primo pastificio italico; la sua distribuzione passa per la repubblica di Genova e si sposta nel resto dell’Europa.

Ora, lo stesso procedimento lo applicarono i cinesi con la farina di Riso con cui producono i noodles. Mentre con l’aggiunta di uova i greci producevano le lagane, presenti sia in Ungheria che anche nei racconti di Plinio e Cicerone.
Lo spaghetto, quindi, è un invenzione tipo la ruota.. in cui vedo cioè difficile attribuire una paternità.

Potrei fare pure altri esempi… Sempre attraverso lo stesso percorso una pianta come il basilico è pervenuta a noi attraverso una modificazione genetica dall’India. E che dire del Pomodoro? Trovato nelle Americhe, sino al 1600 è una pianta ornamentale che rimane gialla e di cui il picciolo (la parte verde) è nociva. In seguito per qualche miracolo i napoletani la convertirono in una divinità commestibile, e in breve tempo diventò una fonte di reddito incredibile. Oltremodo, dagli Arabi per fare un ultimo esempio, abbiamo importato nella nostra cucina anche altri quattro o cinque prodotti fondamentali quali: il riso, lo zucchero, le arance, le melanzane. Dalle Americhe la zucca, il mais, le patate, i pomodori e il cioccolato… e così via.

In sostanza, abbiamo visto che il più classico o tradizionale dei prodotti italiani, lo “spaghetto al pomodoro”, è figlio di una fusion internazionale durata 4000 anni. E questo la dice lunga sulle mode filologiche di questi ultimi tempi…

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Dunque, alla luce di una vera e antica tradizione ‘fusion’ (se proprio vi piace questo termine), torno allora a parlarvi dei “Buoni principi..”: il testo, se da un lato è la farmacopea per la cura attraverso il cibo, dall’altro è la prima descrizione dettagliata di cosa si mangiava a corte dell’imperatore. Sono oltre 250 ricette per una sana alimentazione, ma anche un ricettario di gran classe di cucina internazionale o fusion, se appunto volete chiamarla così.
Alla base di tutto c’è il principio che «il cibo che mangiamo è la nostra medicina», e «solo attraverso l’igiene, la freschezza, e una giusta dieta potremmo avere cura di noi e – soprattutto – dei nostri cari» (virgolettato perché nel testo).
È diviso in tre parti. La prima, più ampia, è la “Raccolta di vivande preziose e straordinarie”, un incredibile ricettario, un’esposizione dei cibi sani e di quelli fortificanti. Anche senza aspetti medici particolari. Ma con una predilezione per le zuppe di verdure e di carne. All’interno anche 50 ricette a base di pastapane con cereali e farine di legumi – piatti considerati europei – con almeno 20 le ricette a base di ceci (in cinese i fagioli arabi), e una ventina di piatti in agrodolce (che hanno per base lo zucchero e l’aceto). La dieta (il “Kosher” o la “regola”) prescritta all’Imperatore è una serie di ricette di cucina: misurate, provate, assaggiate; una cucina mongola o cinese, ma anche araba, turca, mediterranea, persiana e indiana; certamente una cucina fusion: tutte di sicuro dall’effetto salutare, gustose, ognuna testata alla corte imperiale di Pechino.
La seconda parte del testo è medica, contiene ricette di preparati, sciroppi e liquori… pomate. 150 ricette ben dettagliate con esatte quantità e prescrizioni. La terza parte è l’esposizione della farmacia cinese, cioè di quelle miscele di ingredienti adatti a curare le malattie attraverso le spezie.
Di Hu Sihui si hanno poche notizie biografiche, si sa solo che era un dignitario di corte, e che a forza di zuppe di verdura ha curato non meno di tre membri della famiglia reale. Il libro è stato ampiamente diffuso in Cina, non solo alla corte dei Khan. L’Imperatore Jingtai della dinastia Ming – in lotta contro i Mongoli – nel 1449 scrisse personalmente la prefazione ad una edizione dei “Principi del bere e del mangiare”, indicando che il testo è un classico dell’identità nazionale cinese. Di nuovo Classico Fusion si sovrappongono.

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Ora quando osservo i menù dei ristoranti da noi o in altri luoghi e mi si presentano “classici rivisitati” o piatti della tradizione in chiave fusion… penso alla piccolezza dell’uomo medio e alla sua incapacità di capire che non esistono leggi avverse alla natura dell’uomo, che poi è quella di ambire alla sua felicità o meglio alla sua dignità, e di trovarla ovunque se ne presenti l’occasione.
La tavola è il sintomo delle cose che succedono, e soprattutto che succederanno tra breve. In quattromila anni lo spaghetto si è imposto al mondo e con lui le mille trasformazioni che ha trovato utili… passando sopra imperi e divinità, regole, poteri e popoli. Sarà così anche domani, quando magari il classico sarà la combinazione di riso e alghe marine con insetti e chissà cosa. In fondo la tavola è un divenire… è solo lo specchio dello scambio tra popoli. E i popoli non si sono mai fermati alle leggi di piccoli Khan.